di Salvatore Settis Sono molto contento di essere qui con voi oggi, e vorrei ringraziare Maurizio Landini e la Cgil per avermi onorato con l’invito a parlare a Lecce. Ritengo infatti che i movimenti sindacali, e in particolare in Italia la Cgil, siano sempre più importanti per frenare, e se possibile arginare, la crisi della […]
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Petrolio, carbone e gas salveranno il lavoro?
di Mario Agostinelli
I delegati di oltre 200 Paesi delle Nazioni Unite erano arrivati ai colloqui sul clima a Katowice con l’incarico di sostenere l’accordo di Parigi 2015. Pur trattandosi di un appuntamento “tecnico” per fare il punto sui progressi o i ritardi rispetto all’agenda fissata tre anni orsono, l’attenzione si è focalizzata sulle responsabilità che i leader mondiali si sarebbero assunti nei confronti dell’emergenza climatica. A un mese dalla conclusione della Conferenza possiamo dire che sono state confermate le previsioni più pessimistiche: in tre anni non solo non si sono verificati miglioramenti apprezzabili, ma, alla luce degli ultimi dati diffusi dal Global Carbon Project, le emissioni di gas serra sono aumentate per il secondo anno consecutivo nel 2018.
Preso atto di ciò, si deve constatare che l’incombente crisi climatica sta andando oltre le nostre capacità di controllo: vale allora la pena di andare oltre la ricerca dei colpevoli del passato (peraltro tanto noti quanto insensibili), per metterci in azione come persone e soggetti sociali attivi, capaci con le loro reazioni e comportamenti di imporre un cambiamento di rotta. Tanto urgente da doversi realizzare in un arco temporale breve, che, secondo l’IPCC, non può andare oltre i prossimi quindici anni.
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L’internamento di massa, strategia del capitale
di Patrizio Gonnella
C’è più di un modo per interpretare la crisi della democrazia e dello stato di diritto in cui siamo precipitati. Ci si può affidare a modelli economici, a tecnicalità giuridiche, ad approfondimenti geo-politici oppure leggere (o rileggere) uno straordinario classico della letteratura sociologia e penologica contemporanea quale è Carcere e fabbrica di Dario Melossi e Massimo Pavarini (Il Mulino, pp.336, euro 15).
A tre anni dalla scomparsa di Massimo Pavarini, e a più di quaranta dalla prima edizione del saggio risalente all’oramai lontano 1977, il volume arriva nelle librerie, nelle università e nelle biblioteche italiane in un momento nel quale abbiamo eccezionalmente bisogno di strumenti critici approfonditi di analisi. Nella postfazione, lo stesso Massimo Pavarini scrive che «Carcere e fabbrica appartiene a quel movimento revisionista che legge il carcere e la cultura correzionalistica come necessità della modernità».
Il libro si presenta come esplicitamente revisionista nei confronti di quella letteratura filosofico-giuridica che ha tradizionalmente invece letto la pena carceraria come evoluzione positiva di meno evoluti e democratici modelli punitivi. Il carcere, per gli autori, è prima di tutto strumento di disciplina e controllo sociale. Tutto ciò è particolarmente evidente oggi, in un mondo in preda a una deriva nazionale e identitaria.
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I nuovi clochard d’Europa: con il lavoro, senza la casa
di Alessandro Principe
In Europa sono in forte aumento le persone senza casa. Barboni, clochard, homeless, chiamateli come vi pare: la sostanza non cambia. Di romantico c’è poco o niente. Per qualcuno che, forse, sceglie questa vita, c’è un esercito di poveri che una casa non se la può permettere. Aumenti a due cifre, anche in paesi mediamente ricchi, e con tradizione consolidate di welfare: Danimarca +85%; Belgio + 34%; Olanda +50%. In Italia l’aumento è tra i più bassi, “solo” del 10%. Sta emergendo una nuova tipologia di clochard: il “lavoratore senza dimora”. Persone che un lavoro ce l’hanno. Ma non gli basta.
Cristina Avonto è la presidente della Federazione italiana organismi per le persone senza dimora, attiva dal 1985 e parte della Federazione europea che riunisce le associazioni nazionali.
“Sicuramente c’è in Europa un innalzamento nel numero delle persone senza dimora come tendenza generale. C’è però anche un problema di rilevazione statistica. In Italia ad esempio gli ultimi dati ufficiali sono quelli dell’indagine Istat che abbiamo realizzato insieme al ministero del lavoro nel 2014. Noi poi facciamo costantemente un monitoraggio attraverso le nostre associazioni. Da questo monitoraggio rileviamo un leggero aumento: circa il 10% in più negli ultimi 3 anni. Un dato tutto sommato confortante rispetto ad altri paesi europei”.
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La scuola oggi: per quale futuro?
di Silvia R. Lolli
Apprendiamo che il 13 ottobre 2017 ci sarà una manifestazione, sciopero nazionale, degli studenti, contro l'”ASL-alternanza scuola-lavoro”. Si potrebbe dire: “l’Unione degli studenti riprende come ogni anno a manifestare all’inizio della scuola, è ormai una consuetudine…”. Forse però oggi, a distanza di tre anni dalla L. 107/15, ci sono tutti i requisiti perché gli studenti possano prendere coscienza delle falsità che si stanno dicendo circa il loro futuro.
Quando se ne parla non si analizza MAI il possibile, nuovo paradigma del lavoro per la società non solo del futuro, ma anche dell’attuale. Sono incontri normalmente dedicati alle “passerelle” dei politici o alle lezioni trite e ritrite dei formatori di turno. Poche le novità nei linguaggi e nei concetti comunicati.
Il 13 dovremmo capire se la partecipazione sarà consapevole e diversa rispetto alla provenienza degli studenti: ci sarà la stessa critica fra gli allievi dei tecnici e professionali e quelli dei licei? Crediamo che motivi per manifestare i giovani ne abbiano; come leggiamo dal sito dell’associazione, il problema è il loro futuro; lo esprimono con una domanda eloquente: “ci rubano il futuro?”
A chi è più vecchio viene rubato uno scampolo di futuro, mentre ai giovani se sta rubando uno molto più grande: è dovuto all’incertezza che oggi sembra attanagliare tutti. Forse non abbiamo solo gli anticorpi per affrontare questo tempo? Certo l’incertezza di un sistema scolastico capace di promuovere solo Non c’è capacità di immaginare il futuro, come non c’è stata e non c’è la capacità di riflettere, discutere e criticare da parte degli addetti ai lavori la L.107/15. Una propaganda politica fuorviante, e dobbiamo ricordarlo incostituzionale perché poco rappresentativa, ne ha permesso l’applicazione stentata, confusa che cambia la scuola nel modo peggiore.
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Jobs Act, il parlamento fuori gioco
di Giovanni Alleva
Le uscite estive dell’onorevole Alfano e del Presidente della Bce, Mario Draghi, hanno comportato una accelerazione improvvisa del procedimento di approvazione del Jobs Act, che si traduce in un attacco di gravità senza precedenti contro i residui diritti dei lavoratori, non solo per i contenuti, ma anche per il metodo che rappresenta una vera e propria negazione della democrazia parlamentare.
È facile spiegare le ragioni di questo drastico giudizio: ciò che i media chiamano seconda parte del Jobs Act è, tecnicamente, un progetto di legge-delega (il n. 1428 del 14/04/2014 ) composto in tutto di sei articoli. Il più importante è l’art. 4 il quale affida al governo una “delega in bianco” per riscrivere, in sostanza, l’intero diritto del lavoro, senza che i parlamentari, una volta approvata la delega sotto il solito ricatto del voto di fiducia, possano più dire una parola o esprimere un voto sul merito della nuova regolamentazione. L’esautorazione del Parlamento sta diventando un vero costume autocratico dell’era Renzi.
Sarà infatti solo il governo, con i suoi “esperti” (tutti notoriamente di parte data datoriale) a scrivere i conseguenti decreti delegati che i parlamentari conosceranno solo a cose fatte. È un programma quanto mai preoccupante per la nostra democrazia, ma riteniamo anche incostituzionale e proprio sulla incostituzionalità di siffatti decreti, derivanti da una delega in bianco, ci si deve soffermare prima ancora di qualche considerazione sui loro probabili contenuti. Ricordiamo che l’art.76 della Costituzione prevede che il Parlamento possa delegare il governo ad emanare atti aventi forza di legge ordinaria (decreti legislativi), ma sulla base e con l’osservanza di “principi e criteri direttivi” fissati nella stessa legge-delega.
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Manifesta 2014: online i video del dibattito su lavoro e precariato / 3
Concludiamo, dopo la pubblicazione dei primi video (qui e qui, con i filmati realizzati durante i dibattiti tenuti nel corso della Manifesta 2014. Ecco dunque online le voci che sono si sono alternate nell’appuntamento di venerdi 18 luglio, “Il lavoro precario in Italia e in Europa, condanna di una generazione?” Vi hanno preso parte Pier […]
Manifesta 2014: online i video del dibattito su lavoro e precariato / 2
Proseguiamo, dopo la pubblicazione dei primi video, con i filmati realizzati durante i dibattiti tenuti nel corso della Manifesta 2014. Continuiamo dunque con le voci che sono si sono alternate nell’appuntamento di venerdi 18 luglio, “Il lavoro precario in Italia e in Europa, condanna di una generazione?” Vi hanno preso parte Pier Giovanni Alleva, Elly Schlein […]
Manifesta 2014: online i video del dibattito su lavoro e precariato / 1
Con questo post, iniziamo a pubblicare i video realizzati durante i dibattiti tenuti nel corso della Manifesta 2014. Partiamo dunque con i primi tre filmati dell’appuntamento di venerdi 18 luglio, “Il lavoro precario in Italia e in Europa, condanna di una generazione?” Vi hanno preso parte Pier Giovanni Alleva, Elly Schlein e Alberto Monti con […]
Considerazioni in vista di un nuovo autunno caldo su molti fronti
Il sangue è reale e molto caldo nelle guerre di questi giorni, ma certamente ci aspetta un dopo ferie che richiederà una notevole capacità di sangue freddo. La maggior parte dei cittadini, quelli cioè che si stanno avviando in modo accelerato verso quei parametri di povertà non previsti ormai da tempo nei paesi occidentali, ha bisogno di mantenere serenità e prontezza per affrontare problemi quotidiani sempre maggiori.
A settembre, ma per molti già oggi, avremo di fronte l’aumento della disoccupazione, del precariato in una parola la crisi economico-finanziaria con il suo prodotto, la guerra, sempre più totale e consolidata. Essa non dovrà diventare consuetudine solo perché non ci tocca da vicino. In Italia la crisi non sarà più affrontabile solo con parole incoraggianti e con spot di fiducia che le manovre strategiche del presidente della Repubblica hanno evidenziato in questi ultimi anni con la gestione dei tre cambi alla presidenza del Consiglio.
Anche in Europa e proprio nel semestre italiano (che tra l’altro sarà poco gestibile per la difficoltà politica incontrata dopo le elezioni), la crisi si sta già facendo sentire, se la Germania sta rivedendo al ribasso tutte le previsioni. In queste ore si può scoprire che se si fosse riusciti a dare un peso diverso alle priorità politiche nel Mediterraneo e del Sud del mondo invece che rincorrere gli interessi di chi sta più lontano, forse ci sarebbero oggi maggiori capacità per affrontare le sfide che Putin, il nuovo zar russo, ci imporrà già dal prossimo inverno.
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